Restauro lapideo conservativo della superficie pavimentale – Chiesa Colleggiata del Naufragio di San Paolo – La Valletta – Malta

Importante lavoro di Restauro Conservativo per la Speranza fratelli eseguito da aprile a luglio 2017 – committente Mùrino Restauri di Milano

Il corpo principale del lavoro si trova nella navata centrale della chiesa ed è costituito da 40 tombe poste a filo pavimento divise in 8 file in lunghezza per 5 in larghezza. Tutte le lastre sono tarsie marmoree con stemmi e scritte relative a 40 nobili ed importanti famiglie maltesi differenti oltre alla tomba di un importante Vescovo maltese nella cappella laterale destra accanto all’altare (cappella di St. Joseph). Quest’ultima è la più recente, risale infatti al 1891, mentre le tombe della navata centrale sono state realizzate dalla metà del 17° secolo in poi, la maggior parte riporta la data di realizzazione incisa dal “marmista”.
Le lapidi sono costituite da tarsie marmoree policrome realizzate da migliaia di pezzi dette “foliette” inseriti ed incollati su una sottostante lastra detta “madre forma” realizzata in marmo Bianco Carrara. Essa è di 60 mm di spessore e costituisce il contenitore del disegno marmoreo, con un bordo perimetrale che varia da 30 a 40 mm a seconda delle tombe. Al marmista che realizzò il pavimento il bordo servì per portare le lastre allo stesso livello, quello del pavimento finale.
Le tombe riproducono vari disegni, spesso stemmi famigliari o rappresentazioni iconografiche tipiche del periodo storico che riconducono ai significati della Morte e della Resurrezione oppure riportano celebrazioni delle famiglie importanti che hanno contribuito alla costruzione e alla decorazione dell’edificio ecclesiastico.
Le condizioni di conservazione del pavimento sono apparse ad un primo esame disomogenee in quanto alcune lastre tombali erano intatte ma sporche ed opache mentre altre, soprattutto nella parte centrale della navata più percorsa ed utilizzata, erano sembrate molto usurate e mancanti di parti consistenti della tarsia marmorea.
Il secondo esame più dettagliato ha fatto registrare problemi anche maggiori, infatti l’usura e il tempo hanno deformato il piano della navata centrale che si presenta in parecchi punti molto ondulato.
Inoltre la differente resistenza dei singoli marmi presenti ha creato notevoli discrepanze di quota contribuendo al distacco di molti intarsi ormai assottigliati, tanto che in alcuni punti i pezzi presenti raggiungono lo spessore di 1 mm.
L’intervento realizzato è stato quindi complesso ed articolato, partendo dalle ricerche storico-iconografiche che permettessero di risalire ai disegni ed alle incisioni scomparsi. I ritrovamenti tramite l’aiuto della Curia maltese di documenti e disegni degli stemmi di alcune famiglie hanno risolto alcune situazioni difficili ma non tutte.
Il passaggio successivo che ha fatto riscontrare un altro annoso problema è stata la reperibilità dei materiali mancanti che hanno oltre 300 anni.
Le ricerche non sono state affatto scontate ed hanno richiesto impegno e tempo a disposizione. Lo screening dei marmi presenti ha portato alla catalogazione di almeno 35-40 ceppi differenti di rocce calcaree, a loro volta suddivise in altrettanti varianti di colore e venature per un totale di almeno 70-80 tipologie diverse di marmi.
Il 90% di essi sono italiani ed in pochi casi di diversa origine ed estrazione (Breccia africana, Rosso Francia, Rosso Languedoc e Broccatello Iberico).
La vicinanza alle cave di estrazione dei marmi italiani non è stato però di aiuto in quanto in alcuni casi risultano esse risultano esaurite, anche da molti anni.
La ricerca quindi è stata condotta presso rivenditori di marmi italiani o mosaicisti esperti che in magazzino potevano avere ancora pezzature di marmi ricavati da vecchi restauri oppure presso rivenditori di marmi internazionali che sono cromaticamente e strutturalmente compatibili con quelli antichi. La maggior parte dei materiali sono stati reperiti a Pavia, Roma e Carrara.
Nei casi più fortunati in cui le cave sono ancora attive, a parità di struttura e consistenza, le cromie sono cambiate nel tempo e con esse anche la qualità delle venature. Si veda il Diaspro siciliano, ancora splendido ma ora meno rosso rispetto a quello utilizzato nella chiesa e tendente al marrone.
Nel frattempo che si effettuavano i lavori di ricerca sono stati realizzati gli “spolveri” ossia il ridisegno a grandezza naturale cioè in scala 1:1delle parti mancanti delle tarsie su cartoni preparatori. Tali disegni sono poi stati utilizzati per realizzare a mano o con macchine a controllo numerico che lavorano con getto d’acqua le varie “foliette”.
I pezzi realizzati con la macchina “waterjet” sono la minoranza dei casi, sono ad esempio quelli che a mano sarebbe stato decisamente complesso creare per essere identici all’originale ivi presente.
Ogni “spolvero” ha previsto il ridisegno di almeno 30 “foliette” in media, con un caso di 3 pezzi e molti casi di 70/80 pezzi. In totale quindi le “foliette” rifatte sono circa 960.
Il problema maggiore di reperibilità e anche di sostituzione è stato riscontrato con il marmo Giallo Mori dal nord Italia e con il Giallo Antico dal centro Italia, presenti nel 90% delle tombe. Essi sono molto simili.
Le parti gialle delle tombe sono risultate fin dall’inizio le più danneggiate perché fragile e poco robuste.
Inoltre le cave di questi marmi sono esaurite da almeno un secolo. Essi sono marmi di colore uniforme, il Giallo Antico è un po’ venato mentre il Mori è totalmente di un colore intenso. La peculiarità di questi marmi è che al contatto con la fiamma cambiano colore e si arrossano come si può vedere nella foto allegata. Questa caratteristica fu usata dal marmista originale per restituire panneggi e sfumature che sono stati ricreati anche durante l’operazione di restauro.
Nella ricerca dei materiali si è quindi dovuto tenere conto anche di questa caratteristica fondamentale in quanto in mancanza del materiale originale un marmo dello stesso colore giallo ma non “fiammabile” non poteva essere utilizzato.
Riguardo alle incisioni, in alcuni casi la pulizia affrontata all’inizio con metodi corretti e poco aggressivi ha permesso di portato alla luce la colorazione a piombo originale che è stata semplicemente ripulita.
La maggior parte però delle epigrafi non erano in piombo perciò il recupero è stato più difficoltoso. La scarsa profondità delle lettere e di alcuni segni incisi, dai bordi in parte rovinati per abrasioni, rendevano difficile la lettura a vista di alcune parti delle tombe.
Le ricerche storiche e la comparazione con altre lapidi coeve presenti nella navata hanno consentito la decifrazione delle parti meno leggibili.